Gli attori di Jan Fabre sono già sul palco mentre noi con il biglietto in mano cerchiamo il nostro posto. Quattro performer in canottiera e mutande, con dei baschetti in testa e dei calzini ognuno di un colore differente, si preparano. Corrono, fanno stretching, lavorano sulla respirazione o sul gesto, imitano mosse da kung fu, scaldano i muscoli, ma in realtà lo spettacolo è già iniziato. Dopo qualche minuto viene annunciato l’inizio, si abbassano le luci e l’orgia può iniziare.
Si sente il gong tipico degli incontri di pugilato, come nelle più classiche competizioni entrano i secondi, ma quella che si svolge di fronte al pubblico del Teatro Olimpico di Roma non è una sfida sportiva, siamo nel bel mezzo di una gara di masturbazione. Ogni allenatore incita il proprio “atleta” gli dice di essere il migliore, di non mollare, di farlo per la sua nazione, per la patria e intanto le mani dei quattro campioni si agitano convulsamente negli slip, vanno avanti fino allo sfinimento per poi ricominciare.
Questo è l’incipit di Orgy of Tolerance, ultima creazione performativa dell’artista belga Jan Fabre, in scena per due giorni a Roma e poi a Torino (all’interno di Prospettiva 09) grazie al Romaeuropa Festival e allo stabile piemontese. Lo spettacolo annunciato da molti come l’ennesima prova della capacità dell’arte contemporanea di scandalizzare, è in realtà molto più ironico di quello che si potesse pensare, anche se come spesso succede nelle vere opere d’arte, alzando il velo dell’ironia la tristezza e l’amarezza della realtà risultano essere tremende.
Nel mondo immaginato da Jan Fabre, che prende vita in una scena vuota e chiusa da tre pareti grige con ai lati delle poltrone e un divano in pelle, i ricchi esemplari di una borghesia guerrafondaia e perversa si ritrovano seduti a quei divani per parlare delle proprie ricchezze, delle proprie collezioni, ma non collezioni di un qualunque bene materiale, si parla in questo caso di “razze umane”. C’è chi ha tutta una serie completa di Indiani, chi di africani, italiani, rumeni e mentre i quattro rappresentanti dell’etnia dominante, quella occidentale, discorrono dei propri trofei razziali, i loro schiavi al primo comando li intrattengono con le solite masturbazioni. L’atto sessuale nel mondo di Fabre (che poi non è altro che l’immagine distorta della nostra società) perde qualunque connotazione sentimentale, diventa un’azione imprescindibile legata a una fisicità malata, i corpi dei protagonisti non ne possono fare a meno, si agitano per tutto il tempo in preda a convulsioni originate nel basso ventre. Nel mondo di Jan Fabre il sesso è diventato una droga.
Siamo schiavi del consumismo, del sesso e della droga, nella società che abbiamo costruito non c’è spazio neanche per la fede, se Cristo scendesse di nuovo sulla terra, verrebbe accalappiato dal direttore gay di una rivista di moda e immortalato in posa sexy su una copertina, con una camicetta leopardata, dei ray-ban e la croce per chitarra; così ce lo ha mostrato Jan Fabre, un cristo vittima del consumismo, che si aggira per il mondo senza la sua croce e come un giocoliere diventato ormai demente crede ancora di portarla in equilibrio su una mano.
Jan fabre con questo lavoro a smascherare i finti valori della società occidentale, anche la “sacra” maternità è vittima del più bieco consumismo. Con una metafora, non solo geniale, ma anche di grande ironia, tre delle performer, interpretando delle donne incinte, partoriscono tra lancinanti dolori non su dei lettini d’ospedale ma su dei carrelli per la spesa, il frutto del loro amore non sono dei neonati, ma i più comuni prodotti da supermercato; detersivi, pacchi di pasta o lattine di coca-cola vengono cullati come dei bambini appena nati. C’è tempo anche per dare la parola a due alfieri della razza bianca, difensori della cultura occidentale, prendono il microfono e con voce suadente ci avvertono:”Voi pensate che noi siamo dei terroristi, ma immaginate il vostro mondo senza di noi, immaginate di trovare nella vostra palestra dei mussulmani, immaginate gli Africani vincere le olimpiadi…”, i guardiani della razza ci difendono da tutto ciò che è diverso.
Anche la tortura è piegata e utilizzata per scopi tutt’altro che comuni, se non esiste più ideologia o fede da proteggere e a sostituire questi valori c’ha pensato il carrello della spesa, ecco che ai torturati vengono fatte confessare le proprie “inadempienze da consumatori”, tra una frustrata e l’altra i poveretti chiedono perdono per non aver acquistato l’ultima playstation o l’ennesimo tipo di televisore super piatto, tutto questo prima di essere ammucchiati in una di quelle immagini che il carcere di Abu Ghraib regalò qualche anno fa all’umanità.
Di certo Fabre non scandalizza con quello che dice, in definitiva non fa altro che ribadire concetti anticipati da Pasolini o Calvino (per citarne due diversissimi tra loro), ma è il come tutto ciò viene portato a galla che stupisce. Nell’ora e mezzo di spettacolo, il pubblico è il fortunato spettatore di un opera d’arte totale, per la bravura non solo fisica dei performer, che scoppia nel finale danzato, ma anche per un’inaspettata capacità vocale, una verbalità che si fa musica nell’inglese sporcato dall’accento fiammingo degli interpreti. I performer dell’artista belga, scolpiscono di volta in volta il proprio corpo per diventare qualcosa di diverso e trovano la forza anche per recitare, cantare o come nel finale urlare “Fuck you” a tutto e tutti, arte contemporanea e Jan Fabre compresi.
Andrea Pocosgnich
redazione@teatroecritica.net
Vai alla scheda spettacolo (con un video e il cast completo)
Visto il 5 novebre 2009
Teatro Olimpico – Romaeuropa Festival
Roma
Prossima data italiana:
8 novembre 2009
Fonderie Limone Moncalieri (Torino) – Prospettiva 09